Lo scorso 4 novembre,
una folla di devoti e amici ha riempito la Cattedrale di Cesena: ha avuto
inizio il processo canonico per la causa di beatificazione del cappuccino
Padre Guglielmo Gattiani.
È stata una festa grande per tutta la Romagna e oltre, anche della
"Romagna mangiapreti" che tuttavia sospendeva i sentimenti
dell'anticlericalismo quando incontrava, per strada o accanto al letto di un
malato, il santo frate che dal convento dei Cappuccini scendeva per
continuare il ministero della consolazione e del conforto.
Il fascino del saio francescano
testimoniava la cordiale amicizia che da sempre lega la gente di Romagna ai
frati che vivono la radicalità del Vangelo, nella sequela del Poverello
d'Assisi.
A Cesena, e in tante altre città della regione, San Francesco stesso è
venuto, ai suoi giorni, per dire a tutti "pace e bene". Nella
toponomastica di tutte le città lungo la via Emilia è presente la chiesa dei
francescani, con l'umile convento accanto. I primi furono i Conventuali, che
misero in cantiere chiese alte e ampie, sagomate dallo stile gotico, così
come aveva fatto frate Elia ad Assisi per accogliere il sepolcro di
Francesco.
A Cesena si insediarono nel centro della
città che stava risorgendo, dopo che le drammatiche vicende avevano
devastato la città antica sul Garampo; alcuni secoli dopo Malatesta Novello
e sua moglie Violante arricchirono quella comunità con la stupenda
biblioteca che continua a portare il loro nome.
E fu in quel tempo, a metà del '400, che Violante chiamò a Cesena i frati
dell'Osservanza e, fuori Porta Santa Maria, donò loro il terreno per il
convento e la chiesa.
Poi vennero i Cappuccini, come risposta
a quel desiderio di riforma che animava tutta la Chiesa. Arrivarono a Cesena
una trentina d'anni dopo la fondazione. Nel 1558 (si era negli anni del
Concilio di Trento) il conte Agostino Chiaramonti ospitò padre Alfonso Lobo
da Medina, originario della Spagna; a costui venne affidata l'anno seguente
la predicazione della Quaresima. Questi fece breccia nel cuore dei cesenati,
tanto che i magistrati che governavano la città gli concessero la sommità
del Garampo perché vi sorgesse un nuovo convento.
Era il 21 maggio 1559 quando padre Alfonso guidò una processione sul colle,
portando sulle spalle una croce di legno che piantò nel luogo destinato al
nuovo insediamento. La chiesa fu intitolata alle stimmate di San Francesco;
non trascorse molto tempo (1646) e i frati commissionarono al pittore
Giovanni Barbieri da Cento, detto il Guercino, la pala che sull'altare
maggiore richiama ancora oggi al sigillo d'amore con cui Gesù attrasse a sé
il suo servo fedele. E da quei giorni in ogni stagione Cesena e la Romagna
hanno beneficiato della testimonianza evangelica dei Cappuccini.
Padre Guglielmo
è stato e rimane in questa fraternità, condivisa con quanti a loro ricorrono
o da loro sono cercati.
Era nato a Badi l'11novembre 1914; la famiglia e la parrocchia furono il suo
primo seminario. La chiamata a mettersi nella sequela di San Francesco lo
fece scendere dall'Appennino bolognese per approdare al convento di Faenza,
poi a Cesena per il novoziato; era il 15 novembre 1929, l'inizio di dodici
mesi segnati dalla meditazione, dalla preghiera, dalle pratiche della
penitenza e da tanta serenità nel sentirsi posseduti dall'amore del Signore.
Seguirono anni di formazione spirituale, con il corso di studi che l'Ordine
impartiva, mandando i futuri padri nei diversi conventi della provincia.
Ricevette l'ordine sacerdotale il 22 maggio 1938.
Dopo aver sostato in diversi conventi di Romagna, agli inizi del 1944, padre
Guglielmo tornò a salire la strada che conduce al convento di Cesena.
Non tardarono le devastazioni della guerra e del passaggio del fronte
(autunno 1944) e i frati fecero la loro parte per soccorrere tanta gente che
non sapeva dove trovare rifugio e aiuto.
Non mancò poi l'aiuto - con padre Guglielmo in prima fila - nell'opera della
ricostruzione; e non erano solo le case a dover essere riparate.
Il cappuccino Paolo Berti ha pubblicato di recente un bel profilo
biografico: Alla scoperta di padre Guglielmo Gattiani.
Prendendolo in mano e scorrendone le belle pagine, si ha modo di incontrare
il santo frate e seguirlo nella sua vita penitente e dispensatrice di quella
forza chiesta al Signore, nelle lunghe ore della preghiera e della
mortificazione. Egli era a servizio dei giovani novizi, dei tanti che
bussavano al convento, che lo fermavano per strada o che lo invitavano a
portare consolazione e conforto nelle loro case.
E che dire degli incontri con padre Pio a San Giovanni Rotondo, che ebbe a
dire, ad un gruppo di terziari di Cesena, "Cosa
venite a fare da me che avete già padre Guglielmo?"
Ma il desiderio mai sopito di
radicalizzare sempre più la povertà di San Francesco lo inquietava, e ne
scaturirono le esperienze di Lagrimone e del Querceto
nell'Appennino parmense.
Dopo un anno sabbatico in Terra Santa, tornato in Italia, il padre
provinciale gli chiese di entrare nella fraternità di Faenza e nella
cappella del Crocifisso, per continuare il ministero della
consolazione col conforto della preghiera.
Fu un pellegrinaggio continuo, nonostante le resistenze dei confratelli che
avrebbero voluto difenderlo un poco dalla ressa di gente che veniva anche da
lontano. Fino al mattino del 15 dicembre 1999, alla vigilia del grande
Giubileo: in Paradiso ma sempre accanto ai suoi fratelli. |