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Messaggero cappuccino
gennaio 2007

"I tratti di un volto scolpito nel Cuore"
Intervista a Gianmaria Gregori
a cura di Fabrizio Zaccarini

Padre Guglielmo raccontato da chi gli ha vissuto accanto.

Parliamo di Padre Guglielmo Gattiani con p. Gianmaria Gregori che per molti anni è vissuto con lui nel Convento dei frati cappuccini di Faenza

Padre Guglielmo è arrivato a Faenza ...

... subito dopo la morte dei tre cappuccini Graziano, Ivo e Filippo e precisamente nell'ottobre 1980. Filippo faceva servizio qui al Crocifisso  prima di lui e quando morì nell'incidente, il provinciale Alessandro Piscaglia informò Guglielmo dell'accaduto chiedendogli di andare a Faenza.

Padre Guglielmo ripartì subito: era andato in Terra Santa senza un programma preciso. Partì con un gruppo di pellegrini e là rimase circa sei mesi appoggiandosi ai dossettiani.
Visitò i luoghi
santi e credo che questo periodo abbia lasciato in lui una traccia profonda.
Guglielmo in Terra Santa era ancora in ricerca di una soluzione definitiva, non alla sua vocazione ovviamente molto ben determinata, ma alla sua aspirazione di vita ascetica e ... direi, immolata e spesa per gli altri.
Gli altri
tentativi di vita comunitaria, infatti, mi pare non avessero sortito gli effetti che lui avrebbe desiderato.

Per lui lasciare la Terra Santa, venire qui ad assumere questo servizio fu motivo di sofferenza?

Io per la verità arrivai qui più tardi, nel 1985. Certo Guglielmo leggeva tutti gli eventi, anche i più dolorosi, per lui o per altri, in un quadro provvidenziale, convinto per fede che tutto nella storia degli uomini concorra al compiersi della volontà di Dio.
Per due
volte gli sentii usare un'espressione molto forte, parlando della morte di Ivo, Filippo e Graziano: "Il Signore mi voleva qui ai suoi piedi e per farmi posto ha spazzato via tutti gli altri".

Il servizio a Faenza fu la realizzazione insperata della sua aspirazione più profonda: quella di stare ai piedi del Crocifisso come c'era stato san Francesco, soprattutto come c'era stata la Vergine.

Ovviamente, quando nel 1985 sei arrivato a Faenza tu p. Guglielmo lo conoscevi già...

Ah, certo! Lo incontrai la prima volta a Ravenna nel '43, dove fu trasferito lo studentato di liceo e filosofia. Lui fu mandato lì come insegnante di matematica. Poi, nello stesso anno, ci seguì a Cesena, perché fra le varie prospettive di pastorale giovanile che gli erano state proposte c'era anche quella di preparare l'esame di maturità per andare all'università. Quando ripensava alla sua vita, e in particolare a questi momenti, diceva: «Oh, povero me!».

A Cesena era diventato il padre spirituale e confessore degli studenti...

Sì, ma di quelli che avevano aspirazioni alte, non era il mio confessore: io ero ben lontano dall'avvicinarmi a una spiritualità del genere. A Cesena, appena passato il fronte, un giorno andai con lui al Ponte delle Badesse per una commissione. Trovammo alcune borse di pane bianco degli inglesi o degli americani. Guglielmo lo assaggiò e lo trovò buono. Forse fu così che si prese quel tifo che lo portò in fin di vita all'ospedale di Cesena.
In seguito poi noi partimmo, e lui rimase dal 1944 fino al 1980 a Cesena. Dove fu maestro dei novizi per molti anni, mantenendo, contemporaneamente, gli impegni assunti con le comunità fondate nel frattempo: una comunità maschile a Querceto, e una femminile, di Clarisse cappuccine, a Lagrimone.
A Querceto
c'erano p. Natale, un sacerdote della diocesi di Cesena che l'aveva seguito, e fra Lino.
Di Lagrimone so di meno,
ma credo che anche sulla fondazione di quella comunità p. Guglielmo abbia avuto molta influenza insieme a madre Chiara: p. Natale, f. Lino e madre Chiara li chiamava "i miei tre". Morirono tutti nel corso di un anno, pochi mesi prima di lui.

Infine arrivò a Faenza nel 1980. La sua vita qui a Faenza come si caratterizzava?

Era inserito nella comunità, ma allo stesso tempo godeva di una certa autonomia non voluta, in qualche modo subita.
«Vorrei esserci» diceva «ma come faccio se arriva gente con tanti problemi...».
Avanti a tutto metteva le
esigenze di coloro che venivano a lui, non aveva mai coraggio di dire di no o di chiudere le porte. Ascoltava con pazienza, con dolcezza, con umiltà, sin che ha potuto stando in piedi; a volte, se proprio non riusciva più a stare in piedi, si metteva in ginocchio alla balaustra dove riceveva per le confessioni o per i colloqui individuali. Solo negli ultimi anni si adattò anche ad usare una sedia. Era sua abitudine costante ascoltare le confessioni in ginocchio: un atteggiamento di umiltà che ha sempre tenuto.

Come sai, anch'io provengo da questa comunità parrocchiale. Quando Guglielmo arrivò qui, io non riuscivo a confessarmi da più di un anno, andavo a messa e non mi comunicavo. Ripartii facendo ogni sabato file interminabili, confessandomi da lui inginocchiato di fronte a me, quasi volesse dichiararsi corresponsabile del mio peccato e solidale con il mio cammino penitenziale. Avevo trovato non solo una guida per quel tratto di cammino, ma soprattutto l'alleato di cui avevo bisogno per riprendere a camminare ... Vuoi dire qualcosa sul suo atteggiamento pastorale verso le persone che venivano a chiedere benedizioni?

Guglielmo proponeva a tutti come base fondante l'eucarestia e la confessione. All'inizio privilegiava l'ascolto delle persone che si rivolgevano a lui, poi dedicò la maggior parte del suo tempo all'annuncio formativo che basava sui discorsi del papa. Li leggeva ogni giorno dall'Osservatore Romano per proporli e commentarli alla gente. In realtà, a ben vedere, le benedizioni coprivano la parte minore del suo tempo. La sua volontà era di raddrizzare le vie storte e lo faceva con energia a volte. La sua dolcezza abituale, il suo volto angelico, non gli impedivano, se era il caso, di alzare la voce in un urlo di disapprovazione, anche al telefono a volte, quasi in maniera imperativa.

Come si svolgeva la sua giornata?

Scendeva in chiesa tra le 5,30 e le 6 e il suo primo atteggiamento era quello di una breve prostrazione ai piedi del tabernacolo, poi richiamava alla sua mente la passione del Signore recitando lo Stabat Mater di fronte alle stazioni della Via Crucis. Dopo un'occhiata alla cappella del Crocifisso in preparazione della messa, veniva in coro per l'ufficio delle letture se non c'era già qualcuno che gli chiedesse di essere confessato. Doveva celebrare alle 7,30, ma difficilmente iniziava prima delle 7,45, a volte alle 8 o anche alle 8,15. Io mi ero abituato a dire «non è la messa delle 7,30, ma la messa di p. Guglielmo: appena lo lasciate libero lui viene». Non mandava mai via un penitente per rispettare l'orario. Dopo la messa ancora confessioni e benedizioni fino al pranzo, che spesso doveva consumare da solo, riscaldando nel microonde ciò che gli era stato preparato. Dopo pranzo non andava a riposare, solo negli ultimi anni, verso le 15,30, si stendeva sul letto. Alle 16 andavo a bussare alla sua porta, lui rispondeva subito, scendeva di nuovo in chiesa, rimanendovi senza limite di tempo, finché aveva gente.

Vuoi raccontare la sua ultima mattina...

Era il 15 dicembre del 1999, Guglielmo, dopo aver confessato alcune persone, venne al coro per pregare l'ufficio, vidi che c'era qualcosa di strano ... gli chiesi se non stava bene. «Non tanto», mi disse. Allora lo presi sotto braccio pensando di accompagnarlo in camera e mi accorsi che non solo si appoggiava, ma quasi si faceva trascinare. Arrivati di fronte alla scala non volle salire, ci fermammo nella biblioteca. Lo misi a sedere sul divano, andai a prendere l'olio santo per l'unzione degli infermi che ricevette devotamente. Dopodiché gli rimasero i suoi ultimi dieci minuti. Io chiamai il dott. Balducci e anche il 118 per avere i mezzi per la rianimazione. Non ci fu nulla da fare. La salma fu esposta sin dalla stessa giornata nella cappella del Crocifisso fino al giorno del funerale. Passò moltissima gente senza che nessuno avvertisse cattivi odori, che dato il tempo passato, per quanto fossimo in dicembre, potevano verificarsi. Era già seduto ai piedi del divano quando in forma insistente indicò sopra alla sua testa con il braccio. Io non capii e lui con grandissimo sforzo disse: «Per il papa!» Sopra al divano infatti c'era la foto del papa. Ma già qualche tempo prima, chiacchierando col medico, con grande tranquillità, disse: «Sa, senza chiedere il permesso al superiore ho offerto la mia vita perché il papa arrivi al 2000, all'anno santo». Io scherzando commentai: «Ma p. Guglielmo! Queste cose non si fanno senza permesso».

C'è un episodio che lo descriva in un suo aspetto inedito?

Nel settembre del 1999 chiese a me di diventare il suo confessore. Io rimasi un po' perplesso e gli risposi: «Ma p. Guglielmo! Veda bene se trova, e non farà fatica, qualcosa di meglio», ma lui rimase fermo nella sua richiesta.
Così ogni settimana, sulle sei di mattina, trovavo sotto alla mia porta un foglio con su scritto: «Ti aspetto per confessarmi».
Devo aggiungere che p.
Guglielmo amava profondamente la sua fraternità, come amava ogni singo­lo frate della fraternità. Era disponibile per tutti perché amava profondamente
i suoi fratelli e se talvolta non era pre­sente a qualche momento comune del­la fraternità ciò accadeva a causa del suo servizio, non per una mancanza di amore fraterno per noi.