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Messaggero cappuccino
"I tratti di un volto scolpito
nel Cuore" |
Padre Guglielmo raccontato da chi gli ha vissuto accanto. Parliamo di Padre Guglielmo Gattiani con p. Gianmaria Gregori che per molti anni è vissuto con lui nel Convento dei frati cappuccini di Faenza |
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Padre Guglielmo è arrivato a Faenza ...
... subito dopo la morte dei tre cappuccini Graziano, Ivo e Filippo e precisamente nell'ottobre 1980. Filippo faceva servizio qui al Crocifisso prima di lui e quando morì nell'incidente, il provinciale Alessandro Piscaglia informò Guglielmo dell'accaduto chiedendogli di andare a Faenza. Padre
Guglielmo ripartì subito: era andato in Terra Santa senza un programma
preciso. Partì con un gruppo di pellegrini
e là rimase circa sei mesi appoggiandosi
ai dossettiani. |
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Per lui lasciare la Terra Santa, venire qui ad assumere questo servizio fu motivo di sofferenza?
Io per la verità arrivai qui più tardi,
nel 1985. Certo Guglielmo leggeva tutti gli eventi, anche i più
dolorosi, per lui o per altri, in un quadro provvidenziale,
convinto per fede che tutto nella storia degli uomini concorra al
compiersi della volontà di Dio. Il servizio a Faenza fu la realizzazione insperata della sua aspirazione più profonda: quella di stare ai piedi del Crocifisso come c'era stato san Francesco, soprattutto come c'era stata la Vergine. |
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Ovviamente, quando nel 1985 sei arrivato a Faenza tu p. Guglielmo lo conoscevi già... Ah, certo! Lo incontrai la prima volta a Ravenna nel '43, dove fu trasferito lo studentato di liceo e filosofia. Lui fu mandato lì come insegnante di matematica. Poi, nello stesso anno, ci seguì a Cesena, perché fra le varie prospettive di pastorale giovanile che gli erano state proposte c'era anche quella di preparare l'esame di maturità per andare all'università. Quando ripensava alla sua vita, e in particolare a questi momenti, diceva: «Oh, povero me!». |
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A Cesena era diventato il padre spirituale e confessore degli studenti...
Sì, ma di quelli che
avevano aspirazioni alte, non era il mio confessore: io
ero ben lontano dall'avvicinarmi a una
spiritualità del genere. A
Cesena, appena passato il fronte, un giorno andai con lui al Ponte delle
Badesse per una commissione. Trovammo
alcune borse di pane bianco degli inglesi o degli
americani. Guglielmo lo assaggiò e lo
trovò buono. Forse fu così che si prese quel tifo che lo portò in
fin di vita all'ospedale di Cesena. |
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Infine arrivò a Faenza nel 1980. La sua vita qui a Faenza come si caratterizzava?
Era inserito nella
comunità, ma allo
stesso tempo godeva di una certa autonomia
non voluta, in qualche modo subita. |
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Come sai, anch'io provengo da questa comunità parrocchiale. Quando Guglielmo arrivò qui, io non riuscivo a confessarmi da più di un anno, andavo a messa e non mi comunicavo. Ripartii facendo ogni sabato file interminabili, confessandomi da lui inginocchiato di fronte a me, quasi volesse dichiararsi corresponsabile del mio peccato e solidale con il mio cammino penitenziale. Avevo trovato non solo una guida per quel tratto di cammino, ma soprattutto l'alleato di cui avevo bisogno per riprendere a camminare ... Vuoi dire qualcosa sul suo atteggiamento pastorale verso le persone che venivano a chiedere benedizioni? Guglielmo proponeva a tutti come base fondante l'eucarestia e la confessione. All'inizio privilegiava l'ascolto delle persone che si rivolgevano a lui, poi dedicò la maggior parte del suo tempo all'annuncio formativo che basava sui discorsi del papa. Li leggeva ogni giorno dall'Osservatore Romano per proporli e commentarli alla gente. In realtà, a ben vedere, le benedizioni coprivano la parte minore del suo tempo. La sua volontà era di raddrizzare le vie storte e lo faceva con energia a volte. La sua dolcezza abituale, il suo volto angelico, non gli impedivano, se era il caso, di alzare la voce in un urlo di disapprovazione, anche al telefono a volte, quasi in maniera imperativa. |
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Come si svolgeva la sua giornata? Scendeva in chiesa tra le 5,30 e le 6 e il suo primo atteggiamento era quello di una breve prostrazione ai piedi del tabernacolo, poi richiamava alla sua mente la passione del Signore recitando lo Stabat Mater di fronte alle stazioni della Via Crucis. Dopo un'occhiata alla cappella del Crocifisso in preparazione della messa, veniva in coro per l'ufficio delle letture se non c'era già qualcuno che gli chiedesse di essere confessato. Doveva celebrare alle 7,30, ma difficilmente iniziava prima delle 7,45, a volte alle 8 o anche alle 8,15. Io mi ero abituato a dire «non è la messa delle 7,30, ma la messa di p. Guglielmo: appena lo lasciate libero lui viene». Non mandava mai via un penitente per rispettare l'orario. Dopo la messa ancora confessioni e benedizioni fino al pranzo, che spesso doveva consumare da solo, riscaldando nel microonde ciò che gli era stato preparato. Dopo pranzo non andava a riposare, solo negli ultimi anni, verso le 15,30, si stendeva sul letto. Alle 16 andavo a bussare alla sua porta, lui rispondeva subito, scendeva di nuovo in chiesa, rimanendovi senza limite di tempo, finché aveva gente. |
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Vuoi raccontare la sua ultima mattina... Era il 15 dicembre del 1999, Guglielmo, dopo aver confessato alcune persone, venne al coro per pregare l'ufficio, vidi che c'era qualcosa di strano ... gli chiesi se non stava bene. «Non tanto», mi disse. Allora lo presi sotto braccio pensando di accompagnarlo in camera e mi accorsi che non solo si appoggiava, ma quasi si faceva trascinare. Arrivati di fronte alla scala non volle salire, ci fermammo nella biblioteca. Lo misi a sedere sul divano, andai a prendere l'olio santo per l'unzione degli infermi che ricevette devotamente. Dopodiché gli rimasero i suoi ultimi dieci minuti. Io chiamai il dott. Balducci e anche il 118 per avere i mezzi per la rianimazione. Non ci fu nulla da fare. La salma fu esposta sin dalla stessa giornata nella cappella del Crocifisso fino al giorno del funerale. Passò moltissima gente senza che nessuno avvertisse cattivi odori, che dato il tempo passato, per quanto fossimo in dicembre, potevano verificarsi. Era già seduto ai piedi del divano quando in forma insistente indicò sopra alla sua testa con il braccio. Io non capii e lui con grandissimo sforzo disse: «Per il papa!» Sopra al divano infatti c'era la foto del papa. Ma già qualche tempo prima, chiacchierando col medico, con grande tranquillità, disse: «Sa, senza chiedere il permesso al superiore ho offerto la mia vita perché il papa arrivi al 2000, all'anno santo». Io scherzando commentai: «Ma p. Guglielmo! Queste cose non si fanno senza permesso». |
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C'è un episodio che lo descriva in un suo aspetto inedito?
Nel settembre del 1999
chiese a me
di diventare il suo confessore. Io rimasi
un po'
perplesso e gli risposi: «Ma p.
Guglielmo! Veda bene se trova, e non farà fatica, qualcosa di
meglio», ma lui rimase fermo nella sua richiesta. |