Gli interrogatori del
ministro provinciale
Una domanda il nuovo padre Provinciale la
fece subito a padre Guglielmo: «Il suo abito così rappezzato non è poi di
testimonianza perché è moda tra i giovani andare sdruciti e con toppe!».
Il suddito poteva di certo rispondere che la moda dei giovani era
un’esigenza di libertà, di autenticità, di ribellione alla società dei
consumi, e quindi... Ma non disse nulla, solo un sorriso. La domanda il
padre Provinciale gliela ripeté in più circostanze, ottenendo lo stesso
silenzio e lo stesso sorriso.
In visita canonica il 25 novembre 1987 il ministro provinciale prese questi
appunti del colloquio che ebbe con padre Guglielmo:
«Attende alle confessioni, alle benedizioni e dà consigli: viene gente.
Purtroppo ci sono molte famiglie sfasciate e siamo in una regione con pochi
figli — Vorrebbe destinare la pensione per Telepace e il Provinciale concede
molto volentieri. “Con i miei santi confratelli non son degno di baciare le
loro orme, sono bravissimi”. Si alza alle 2.00 o alle 3.00 per leggere,
scrivere e pregare. Si accusa di essere goloso, di non fare mortificazione e
deve vergognarsi: quando si sente debole va a prendere un conforto. E diviso
in due: vorrebbe essere in refettorio con i frati e nello stesso tempo non
mandar via la gente (dà dispiacere a Lorenzo che lo vorrebbe a tavola
puntuale). Lorenzo ha l’occhio clinico su di lui: è un dono del Signore. Io
Provinciale rispondo che lo tiene in umiltà. E sempre stato in ginocchio».
Nel dicembre del 1989 il Provinciale fu di
nuovo in visita canonica a Faenza:
«Salute bene — Fa fatica a stare sveglio — Prepara lo “scarabocchio” per
la domenica alla sera, alla notte — Nella cappella ci va e non ci va
—Telefono dalle 20.00 alle 21,30— Prega in stanza perché vicino al
tabernacolo — Il preside Tosi corregge e batte a macchina le sue omelie —
Dice che non prega — Contento di tutti: dà dispiaceri a padre Lorenzo: “Vuoi
bene a tutti fuorché ai tuoi confratelli” — “Vorrei avere il dono della
bilocazione, chiudere la chiesa forse — Come lasciare persone che vengono da
lontano, perché sono le 12? Se però mi dice di chiudere, chiudo” — Scontro
piccolo con padre Lorenzo: “Tu fai gné gné come padre Natale” — Guglielmo:
“Tu Lorenzo vai troppo in fretta”... “e non prega (Lorenzo) con il cuore
quando lo dice da solo (cioè va per conto proprio)” — Contento di tutti, ma
non di sé — E una gioia stare con il Signore — Fallimento: non sa stare ai
piedi del Crocifisso come la Madonna — Rosario lo dice in modo speciale: un
mistero e una o più Ave Maria per meditare di più il mistero. Fallimento a
Lagrimone perché non ha corrisposto al Signore — In Terra Santa ha chiesto
un posto come vuole il Signore e laggiù arrivò la notizia della morte di
padre Filippo e ora è lui al suo posto — Non tocca il denaro, gli pare di
avere il cuore distaccato dal denaro — E molto scontento di se stesso e deve
convertirsi — Alla mia domanda se parla di S. Francesco; spesso lo cita e ci
pensa spesso — Non ha paura di sorella morte, mi risponde alla mia domanda —
Domando “se tribola”, “No, per niente” — Guarda le belle virtù dei fratelli
— P. guardiano è bravo e sa fare tutto: “metterà la firma” per altri tre
anni — Elogia Marco e Lorenzo — Lorenzo ha doti straordinarie e lo spinge ad
andare fuori a “dare benedizioni” — “Lorenzino è mio amico, mi sveglia, devo
convertirmi, mi dispiace di dargli dispiacere — Non vorrei che lo mandassero
via, perché mi stimola a convertirmi”».
Il padre Provinciale trovandosi a Cesena il
15 novembre 1990 mentre si teneva un corso di esercizi ai quali partecipava
padre Guglielmo, non volle privarsi della gioia di un altro incontro con
lui:
«Sta bene. Gli domando: “Ti curi?” risponde “Troppo” — “Dormi?”. “Come un
ghiro, non molte ore” — Insisto: “Quante ore di seguito dormi?”.
“Tre/quattro ore in media per notte. Di sabato di solito quasi in bianco per
preparare, in iscritto, l’omelia (ha già il triennio). Roba che fa ridere,
tutto uno scarabocchio” — Chiedo: “Preghi?”. “Pochissimo, non so pregare. I
nostri santi pregavano molto e acquistavano una grande conoscenza teologica.
Non so pregare, non prego mai. Vari fallimenti e ora sto fallendo dinanzi al
Crocifisso, perché non so starci come la Madonna e le pie donne sul
Calvario. E una cosa gravissima e dovrei essere preso a calci. Oggi è il 15
novembre: sono stato battezzato in questo giorno e lo stesso giorno ho fatto
la vestizione. Debbo convertirmi”. — Chiedo: “Perché non ti converti?”.
“Sono venuto a fare qui nel noviziato per piangere i miei peccati. Alla
mattina faccio la Via Crucis e anche di notte dico lo ‘Stabat Mater’ davanti
al Crocifisso regalatomi da Giulio”. Ancora: “Sono andato a Ferrara con gli
addetti alla TV di Telepace e sono stato insieme ad altri ricevuto dal Papa
— Gli ho baciato la mano e non ho capito niente (penso dalla commozione)”.
Chiedo ancora: “Come vai con la fraternità di Faenza?”. “Benissimo —
risponde — sono tutti santi. Lavorano tutti e sono bravissimi. Spero che dal
gruppo folto di giovani di Faenza saltino fuori vocazioni”. “Che penitenze
fai?” La risposta: “Nessuna. Mangio come un lupo (ma non è vero). Bisogna
che mi converta. Dico la preghiera della disciplina con le mani sotto le
ginocchia al mattino in chiesa”. Domando: “Ma gli altri ti vedono?”. “No,
perché non sto in coretto, ma vado in chiesa”. Poi mi dice: “Io sono il
disordine personificato». Sta in ginocchio».
Nella visita canonica del 1992 il
Provinciale scrisse poche parole sul colloquio:
«Fr. Guglielmo Gattiani — E contento di tutti i frati, che sono tutti
angeli. Lui invece è un peccatore. I frati hanno tutti dei lati positivi.
Difende un frate accusato da altri sottolineando i lati positivi».
Questi appunti dei dialoghi, svolti
dall’autorità del padre Provinciale sotto forma di fraterno colloquio e
senza andare troppo in profondità, dicono come padre Guglielmo, era uso, nel
suo desiderio di santità, a rapportarsi con i santi, si considerasse un
niente.
Le risposte sono stroncanti, ma non è che egli mancasse di pazienza verso se
stesso così da colpirsi acidamente. Padre Guglielmo sapeva vedersi in
positivo, «pur senza voler vedere». Sapeva fare questo, nella lode e
nel ringraziamento di quanto Dio stava operando in lui e nell’umile supplica
di crescere nell’amore verso di lui, e nel servizio ai fratelli.
Egli aveva di mira la sincerità, la salvaguardia dell’umiltà, anche a costo
di confondere l’assenza di una cosa con il modo carente di farla. Infatti
non era vero che non pregasse, non era vero che non sapesse pregare, non era
vero che mangiasse come un lupo, ma padre Guglielmo si umiliava nella sua
stessa umiltà, conoscendo come ci si può addirittura sottilmente vantare del
l’umiltà: era il «nascondimento» a se stesso del bene che aveva in
sé, per un continuo osanna a Dio.
Padre Guglielmo era continuamente vigilante nel mantenere reciso l’amor
proprio, che sempre deve essere conculcato, sino alla fine, poiché esso
muore, come disse scherzosamente san Francesco di Sales, un quarto d’ora
dopo di noi.
La pratica delle virtù del servire, aveva condotto padre Guglielmo ad una
carità fresca, sempre rivolta alla gioia degli altri. Proprio per questo era
un grande comunicatore. Chi lo avvicinava sentiva infatti che tutta
l’attenzione di quel frate era per lui e si sentiva trattato come se fosse
un capolavoro, tanta era la stima che padre Guglielmo gli dimostrava. I
rimproveri erano pieni di bontà: giungeva, a volte, a dare dolcemente alcuni
colpetti sulla testa con un crocifisso oppure con il cordone dell’abito.
Altre volte, quando il caso lo suggeriva, aggiungeva alle parole, per
renderle più significative, delle piccole testate all’interlocutore: era il
«coccetto».
Certo che, quando aveva di fronte a sé la falsità, non taceva. Diverse volte
venne sentito parlare a voce alta al telefono, oppure dire ad una persona
con forza: «Lei è falso!». Ma non era alterazione, era solo santo
sdegno; infatti, subito dopo, appariva calmo come prima. Egli sapeva bene
che qualche parola forte a certi soggetti fa molto bene: il beato padre Pio
da Pietrelcina in questo era un maestro.
Grande comunicatore, quando padre Guglielmo parlava dei santi diventava
tutto espressivo: il volto, lo sguardo vivo, il gestire, creavano una specie
di incantamento in chi lo vedeva per la prima volta. La percezione comune
era quella di trovarsi di fronte ad un personaggio autentico, che non aveva
ombra di comporta mento da attore.
Le persone si sentivano messe a proprio agio da dei «sì, sì, sì», che
volevano dire: «Sì, sono al tuo servizio».
I suoi «sì, sì, sì» erano disarmanti per chi lo affrontava con
fare «aggressivo». I suoi «sì, sì, sì», dolci, li sentirono
anche alcuni frati che si comportavano con autorità direttiva su di lui,
senza esserne i superiori. «Sì, sì, sì» e poi faceva quello che
sapeva che doveva fare, perché concordato con i superiori. I «sì, sì, sì»
erano in tal caso saggezza: le nubi infatti passano e sopra c’è sempre
pronto il sole.
La sua capacità di comunicatore di bontà era segnalata da un fenomeno
sorprendente: il sorriso dei bambini. Un uomo con barba, guance infossate,
tonaca austera, sembrava fatto apposta per spaventare i bambini, invece no,
essi gli sorridevano conquistati dal suo sorriso e dalle sue parole di
tenerezza. Ma ecco il segreto: nei bimbi padre Guglielmo vedeva il
Bambinello, come nelle bimbe vedeva Maria bambina. Si rivolgeva così a loro
con un modo che li rapiva e li faceva sorridere. La cosa avveniva sempre,
anche con i neonati.
Un giorno di riposo
senza alcun riposo
Nel 1991 padre Guglielmo cominciò ad andare
a Città di Castello quale confessore del vescovo mons. Pellegrino Ronchi,
cappuccino. Ci andava il lunedì della terza settimana di ogni mese. Lo
accompagnava il signore che aveva dichiarato di avere visto sul capo del
generoso cappuccino un copricapo giallo oro luminosissimo.
L’accompagnatore lo andava a prendere la domenica sera e lo portava dalle
cappuccine di Cesena per le confessioni.
La mattina dopo padre Guglielmo andava a visitare degli ammalati e poi
riceveva gente al monastero. Quindi, il pomeriggio, andava a Città di
Castello per confessare il vescovo, intrattenendosi con lui a cena. Prima di
entrare in vescovado faceva una capatina dalle suore cappuccine, al
monastero dove visse e morì la grande santa Veronica Giuliani. Portava alle
suore frutta e verdura sapendo che vivevano in grande ristrettezze.
L’accompagnatore tutte le volte faceva un vero carico di viveri per loro.
Padre Guglielmo entrava nella chiesa del monastero prostrandosi sul
pavimento davanti all’urna di santa Veronica Giuliani.
Il suo accompagnatore lo vedeva anche baciare il pavimento e la prima volta
ne rimase sorpreso, ma il padre gli diede la spiegazione che la Madonna
aveva detto a santa Bernardetta di baciare la terra per i peccatori, e là, a
Lourdes, c’era del fango, lì solo un pavimento.
Poi via, senza parlare alle suore: non voleva ricevere ringraziamenti per
quel po’ di bene che procurava loro.
Diversa gente cominciò, anche a Città di Castello, a cercare di avvicinarlo
andando in vescovado. Il vescovo dovette dopo un p0’ proibirlo: era il
giorno di riposo di padre Guglielmo.
L’incontro col vescovo era sempre una festa. Durante la confessione padre
Guglielmo era in ginocchio e il vescovo seduto: una precisa volontà del
confessore.
L’ordine delle cose per il viaggio a Città di Castello dal 1995 cambiò.
L’accompagnatore lo prelevava la mattina del lunedì a Faenza. A Cesena
faceva subito qualche visita agli ammalati e riceveva un po’ di gente. Verso
le 11 andava a Città di Castello, quindi, dopo il pranzo, ritornava a Cesena
per confessare le cappuccine, infine tornava a Faenza. Il nuovo programma
venne suggerito dal fatto che in tal modo non arrivava tardi. Spesso il
superiore lo vedeva ritornare più stanco che mai, nei suo giorno di riposo.
A volte proprio giungeva a una stanchezza impressionante e il pesto bluastro
sotto gli occhi gli arrivava fin sotto la bocca.
Già dal 1990 la salute di padre Guglielmo aveva cominciato ad accusare i
colpi dell’età e anche degli strapazzi.
Contestato da «Lorenzino», che poteva entrare nella sua stanza mai
chiusa a chiave, concludendo che dormiva per terra, cominciò ad usare il
letto. Non ne fece, però, una regola, infatti spesso continuò a dormire per
terra su un giaciglio fatto delle lettere che, numerosissime, si erano
accumulate nella sua stanza. Il risultato era che la stanza appariva più
disordinata che mai.
Dovette poi concedersi qualche buon cucchiaio di zucchero perché aveva la
glicemia bussa e tendeva a crisi ipoglicemiche che, in seguito, si
aggravarono.
Il sonno sottratto e la glicemia bassa gli causavano nella cappella del
Crocefisso, dove continuava a stare sempre in piedi, dei vacillamenti. La
gente rimaneva col fiato sospeso, ma poi egli si riprendeva e continuava con
la Lena di prima.
Nel luglio del 1991, fratel Lino venne operato al cuore, in seguito a
diversi infarti. Gli fecero 4 bypass. Padre Guglielmo lo chiamò a sé nel
convento di Faenza, non potendo più fratel Lino condurre la vita austera del
Querceto. L’ospite ebbe la camera 17 di fronte alla 25: quella di padre
Guglielmo.
Fratel Lino divenne poi oblato cappuccino 1113 novembre 1995.
Il 25 gennaio 1996 ricevette il lettorato a cui seguì l’accolitato. Poi la
prospettiva di accedere al diaconato, delusa, nel febbraio del 1996, quando
gli venne riscontrato un tumore in un orecchio.
Una legittima ulteriore
determinazione, senza alcuna contestazione
Le Costituzioni, riviste nei capitolo
generale del 1982, approvate dalla Congregazione per i Religiosi il 25
dicembre 1986 e ritoccate nel Capitolo generale del 1988 per adeguarle al
nuovo Codice di Diritto Canonico, furono promulgate il 25 marzo 1990. In
esse si focalizzava come la fraternità e la minorità fossero gli elementi
base che caratterizzavano il pensiero di san Francesco. Pertanto la frase
«la povertà evangelica forma il massimo ideale e la stessa ragione della
nostra vita», non compare più. Al suo posto venne definito che «la
povertà evangelica è un grande impegno della nostra vita». In tal modo
venne evitato di considerare la povertà come fine a se stessa. Il fine della
povertà è la carità, l’abbandono in Dio, la generosa offerta di se stessi
alla causa di Cristo. Circa l’uso del denaro al n° 64 si ricordava che san
Francesco «comandò ai suoi di non accettare in nessun modo denaro, perché
segno di ricchezza, pericolo di avarizia e strumento di potenza e di dominio
nel mondo». Ora i frati, viste le mutate condizioni dei tempi, potevano
usare il denaro, ma «solo come mezzo ordinario di scambio e di vita
sociale necessario anche ai poveri». Tutto bene.
Padre Guglielmo, le sorelle di Lagrimone e il Querceto, come legittima
ulteriore determinazione di questo, aggiungevano, nel silenzio, l’esempio di
non uso del denaro, quale eroica ed efficace testimonianza della Provvidenza
di Dio, ad un mondo sempre più centrato sul denaro.
Circa la «povertà integrale per l’amore universale» padre Guglielmo,
nel capitolo del giugno del 1993, davanti al padre generale, fra Flavio
Carraro, diede questa testimonianza:
«Il Padre Generale e il Padre Provinciale nei loro interventi hanno
invitato tutti a collaborare con impegno (alla pastorale vocazionale),
raccomandando soprattutto i mezzi classici: la preghiera e la testimonianza.
Non sono indifferente a questo problema... Mi affligge e mi trafigge. Però a
proposito delle responsabilità mi è venuto in mente il profeta Giona nella
famosa tempesta, quando stava per inabissare l’intero equipaggio... E
proprio vero: la mia responsabilità in questo semifallimento è molto grande.
Venticinque anni fa presi la benedizione da padre Pio per la povertà
integrale, soprattutto per la drastica rinuncia al denaro, e per la carità
universale. Essere tutto per ognuno.. Era un dono infinitamente grande, che
ho bruciato... Da tredici anni sono ai piedi del SS.mo Crocifisso pér
rivivere la specialità di S. Francesco verso Cristo Crocifisso. La
contemplazione mistica (dice San Bonaventura) non è un privilegio di pochi,
ma è un dono promesso a tutti, e la vita è Cristo Crocifisso (...). Sento un
richiamo speciale a rinunciare a tutto e ad attendere solo al Signore, alla
preghiera, per tutte le anime. Spesso mi rimangio i proponimenti, sono
disattento: fumo senza arrosto, apparenza senza realtà... La mia specialità
è una sola: non c’è stato e non c’è nessuno più disordinato di me. Con la
solenne benedizione del Santo Padre, del dolce e amabile nostro Padre
Generale, dei superiori uscenti ed entranti, io, vecchio bacucco, vorrei
proprio incominciare una vera collaborazione vocazionale, da capo ogni
giorno, come fosse l’ultimo, con intensità di desiderio e fermezza di
proposito».
La povertà integrale aveva dato profondità e consistenza all’umiltà
di padre Guglielmo, quindi, alla sua comprensione degli altri. Gli aveva
dato in particolare una vittoria: non essere più esternamente reattivo di
fronte alle lodi che gli venivano fatte. Li lasciava dire reagendo e
sottraendosi con un sorriso silenzioso, che diceva tutto.
Un esempio lo si ebbe quando, nel 1996, si unì ai frati per la recita
dell’ufficio delle lodi una persona buona che era diventata entusiasta di
padre Guglielmo. Questa persona si poneva accanto a lui e durante il salmo
ogni tanto gli si rivolgeva. Così, ad esempio, quando si recitava «Chi
salirà il monte del Signore?», questa inclinandosi verso il compagno di
preghiera, diceva sottovoce: «Padre Guglielmo». E via dicendo. La
reazione del tormentato orante era un dolce sorriso di comprensione, oppure
un calcetto dato col piede. Chi intervenne, ad un certo punto, fu il
guardiano, ma non padre Guglielmo, che non diede mai il minimo segno di
disappunto, pur sostenendo indubbiamente una fiera battaglia al suo interno
di fronte a tante lodi inserite nella salmodia delle «Lodi».
Certo, quando le lodi arrivavano a sorprenderlo e a colpirlo reagiva
maggiormente, ma non più a «pugno duro» come qual che volta gli
capitò di fare negli anni ‘70.
Una volta fu «centrato» da questa considerazione laudativa:
«Dio ha preso padre Filippo per dare il posto a lei». Egli rispose
con un sorriso unito a forte determinazione: «Vuole che pensi che Dio ha
fatto morire padre Filippo per me?!».
Il gruppo che veniva da
Treviso
Padre Guglielmo era «di tutti e di
ognuno», ma c’era un gruppo per il quale dimostrava una maggiore
attenzione: quello di Treviso, guidato dalla già vista signora di Postioma.
Questo perché portava sistematicamente con sé casi problematici, dimostrando
così un forte impegno apostolico.
L’organizzatrice riusciva a formare gruppi numerosi, anche di due pullman;
con la frequenza di tre volte al mese.
Una volta, ad esempio, il gruppo portò una chiromante. Padre Guglielmo la
ascoltò con tanta pazienza. Ogni tanto, quando le sparava grosse, le diceva
benevolmente: «Vedi questo cordone te lo do sulla testa». Alla fine
di tutto il discorso della chiromante, cominciò a parlare lui e riuscì a
convincerla a lasciare perdere le sue fasulle pratiche.
Quella non fu la sola chiromante che il gruppo portò a Faenza, tante altre
vennero e furono convinte da padre Guglielmo a lasciare la loro
superstizione.
Alla fine di settembre del 1994, il gruppo portò una giovane signora
incinta, angosciatissima perché a seguito di un’amniocentesi era stato
diagnosticato che la bambina sarebbe nata deforme. Padre Guglielmo le disse
subito: «No! La bambina è perfetta. E un angioletto del Signore!».
Infatti nacque una bambina bellissima.
Un’altra donna nella stessa situazione venne portata dal gruppo a Faenza.
Aveva in mano il referto dell’analisi, ma si sentì dire: «No, no! Bella
bambina, una bella bambina nascerà! Poi non è un bambino, ma una bambina!
Poi niente parto cesareo!» Il parto andò bene, senza taglio cesareo, ed
era una bambina perfetta. Poco tempo dopo la nascita il padre e la madre la
portarono da padre Guglielmo, che gioioso la sollevò in alto davanti a
tutti. Poi disse al papà: «La chiamerai Chiara!».
Di donne con gravidanze difficili il gruppo ne portò parecchie e sempre
tutto andò bene per loro.
Ma, da padre Guglielmo, il gruppo portò anche tante madri che non riuscivano
ad avere figli. Le loro speranze, dopo che si erano messe a pregare secondo
l’invito di padre Guglielmo, non rimasero, nella grande maggioranza dei
casi, disattese.
Nell’aprile del 1996 il gruppo portò un giovane sposo sul quale pesava la
diagnosi di tre tumori maligni. Il giovane aveva un bambino di tre mesi.
Padre Guglielmo raccomandò ai due coniugi che ogni mattina, alle 7,30, si
unissero a lui in preghiera mentre celebrava la Messa. Il risultato fu che
quell’uomo non venne operato e la chemioterapia gli venne fatta solo per
precauzione. Ora, mentre faceva la chemioterapia la moglie rimase in stato
interessante. Padre Guglielmo disse che non ci sarebbero stati problemi per
il nascituro. Nacque infatti una bellissima bambina.
Un’altra signora, figlia dell’organizzatrice del gruppo, desiderava avere un
figlio, ma la cosa non avveniva. Era andata da fra Modestino a S. Giovanni
Rotondo, che l’aveva portata nella cella di padre Pio e l’aveva avvolta col
mantello di padre Pio. Dopo nove mesi nacque una bambina. Quando la bambina
ha cinque anni si accorgono che ha una malattia rarissima, che porta alla
sclerosi multipla a placche. La figlia avvisò la madre, che angosciata e
presa quasi da una ribellione, andò davanti ad un’immagine di padre Pio
invocandolo con parole forti. La signora, molto equilibrata, durante la mia
intervista, ha detto che alle 7.00 di mattina, mentre era nella casa della
figlia, vide aprirsi la porta della camera e presentarsi padre Guglielmo.
Lei esclamò: «Padre Guglielmo!». «Caterina!, ieri sera hai
disgustato padre Pio. Ha detto che se non la smetti non ti organizzerà più i
pellegrinaggi». Era un venerdì del 1994. La domenica mattina la signora
era con 58 pellegrini a Faenza. Padre Guglielmo spuntò da dietro l’altare
del SS. Crocifisso. La signora gli disse: «Padre, lei venerdì alle 7 era
a casa mia». Lui subito: «Non farlo più: preghiamo, preghiamo». La
bambina venne fatta visitare da un gruppo di 60 medici che ordinarono
medicine. Padre Guglielmo ne venne informato e la sua risposta fu: «Via
le medicine e i dottori!». «Ma allora chi la curerà?». «Troverete un bravo
dottore adatto a questa malattia». Il dottore venne trovato a Firenze:
era uno specialista di quella malattia e la cura, tuttora in atto, si
dimostrò valida.
Un’altra volta nel gruppo si trovò un pranoterapista pieno di idee strane.
Padre Guglielmo non volle riceverlo. Disse, tuttavia, di pregare per lui per
ottenere la sua conversione.
Un’altra volta quattro persone, che fecero il viaggio per conto loro e si
unirono al gruppo, padre Guglielmo non le volle ricevere. Pareva una
stranezza, ma quelle persone erano dedite alla stregoneria ed erano andate
col gruppo per curiosare.
Ma molti potrebbero testimoniare le grazie che hanno ricevuto da Dio, per
mezzo dell’aiuto orante del frate che stava ore e ore nella cappella del SS.
Crocifisso.
Tra i fatti singolari di questo periodo c’è un nuovo fenomeno luminoso di
cui fu oggetto padre Guglielmo.
Era la sera del 30 luglio 1997. Padre Guglielmo si trovava alla stazione di
Bologna con don Guido Todeschini, il fondatore di Telepace. Nella hall della
stazione strapiena di persone don Guido fendeva la folla, padre Guglielmo lo
seguiva. Ad un certo punto una giovane cominciò a dire ad alta voce
avvicinandosi ai due: «Che luce, che luce!». Don Guido rimase sorpreso: «No!
Lui, lui, con la barba!». Padre Guglielmo subito cominciò a dire:«Silenzio,
silenzio». «Lei è un santo!». «Silenzio! Silenzio! Taci! Taci! Io
sono una cagarella di topo. Taci». La giovane in preda al pianto si
calmò. Chiese che padre Guglielmo pregasse per il suo fidanzato che era
fuori della stazione. C’era stata una rottura tra i due. La giovane chiese:
«Dove abiti?». Padre Guglielmo le diede l’indirizzo e le disse:
«Vi aspetto tutti e due». I due andarono a Faenza dopo 15 giorni e tutto
ritornò bello tra loro. Il riconciliatore, riferendo il seguito a don Guido,
gli disse che erano due colombi, due bravi figlioli.
Uno dopo l’altro: in
cielo
Nel febbraio del 1997 anche a padre Natale
venne diagnosticato un tumore al cervello. Venne operato d’urgenza
all’Ospedale di Parma.
La piccola fraternità francescana del Querceto subiva un nuovo colpo dopo la
già grave situazione di fratel Lino. Rimaneva a custodire il Querceto
sorella Anna.
Padre Natale dall’inizio seppe di avere un tumore e tutto accettò con
pazienza e dedizione al Signore. Aveva drammatiche crisi di epilessia e per
questo non voleva restare con gli altri, per timore di spaventarli.
In aprile ebbe un secondo intervento all’ospedale di Cesena.
Poi, dopo un tempo di convalescenza, passò all’oncologico di Milano per
alcuni cicli di radioterapia di 8 giorni ciascuno. Passò poi all’ospizio S.
Teresa a Ravenna, avendo sempre come riferimento terapeutico l’oncologico di
Milano. Così padre Guglielmo ebbe la possibilità di andarlo a trovare più
volte.
Il 6 gennaio1998 padre Natale e sorella Anna, che gli stava accanto andarono
a Faenza restituendo una visita a padre Guglielmo: fu l’ultimo incontro tra
i due.
Il 2 febbraio 1998 padre Natale ebbe una crisi epilettica fortissima e da
quel momento rimase in una carrozzella.
Una lettera scritta il 2 febbraio 1998 ad una sua assidua frequentatrice di
Rimini, riferisce quanto padre Guglielmo diceva ai casi più difficili, ma
anche rivela la sua partecipazione alle sofferenze di padre Natale e di
fratel Lino: «Io vado dicendo per i casi più difficili. Il Signore
nella sua infinita potenza e bontà può sempre fare due tipi di miracoli: uno
spirituale, di sublimazione del dolore — di perfetta unione con Gesù
Crocifisso — soffrendo e offrendo, amando sempre intensissimamente come
Lui!... Questo miracolo infinitamente prezioso, che hanno avuto tutti i
Santi, il Signore lo vuole fare a tutti... Ma i più non l’apprezzano, non lo
chiedono, non lo ricevono!... L’altro della guarigione fisica, tanto
sospirata dalla massa, ma goduta da pochi... carissima Irene, per noi, per i
nostri cari, per la ns. Romana, facciamo sempre la preghiera più perfetta,
quella di Gesù nel Getsemani: “Padre, se è possibile, passi da me questo
calice!... Tuttavia non la mia volontà, ma la tua sia fatta!”...».
Nella lettera del 12 marzo, scritta ancora alla medesima signora di
Rimini, rivela lo stesso stato di sofferenza: «Proprio ieri il vangelo
del III° annuncio, molto chiaro, della Passione terribilissima... Avete
notato la gravissima e stranissima incomprensione di quella mamma e degli
apostoli? Anche noi corriamo il rischio di cadere nello stesso loro
errore... nonostante i fulgidissimi esempi d’innumerevoli santi (tra gli
ultimi Giovanni di Dio e Francesca Romana) fatti santi a suon di amore
eroico nel condividere la Passione e morte di Gesù per servire, sanare,
risuscitare tutti i più piccoli, i più grandi, tutti, tutti!... Noi abbiamo
qui in casa, al S. Teresa di Ravenna e a Cesena persone carissime in
malattia terminale. Possiamo chiedere per i vostri cari e per questi nostri
cari la guarigione.., quei bei miracoli che piacciono tanto a noi poveri
mortali? Io dico di sì perché il vangelo è pieno di questi interventi di
Gesù... C’insegni a farlo.., vogliamo farlo con tutto il cuore, specialmente
nella S. Messa di ogni giorno... Facciamolo con la preghiera completa di
Gesù nel Getsemani: “Fu esaudito per la sua pietà”!... Patendo e morendo con
infinito amore... Risuscitando con infinita gloria!...».
Padre Natale andò quindi a Milano, ma dopo 15 giorni di permanenza
all’oncologico, il 4 aprile, si fece portare al Querceto perché da lì voleva
lasciare la terra.
Morì il 14 aprile 1998, alle 6 di sera dicendo: «Grazie... gra zie...
grazie... Gesù ti amo; Gesù ti amo».
Una settimana prima era stata ricoverata all’Ospedale di Parma suor
Chiara, per un’occlusione intestinale. Operata, subentrarono complicazioni
cardiologiche e polmonari. Viste le condizioni gravissime, venne trasportata
al monastero dove il 22 aprile lasciò la terra per il cielo.
Ma anche fratel Lino era ormai allo stremo dopo un calvario dolorosissimo.
Ricoverato d’urgenza all’ospedale di Faenza per un’emorragia, vi rimase solo
per tre giorni, perché nella notte del 28 aprile anche lui lasciò la terra
per il cielo.
Padre Guglielmo aveva sempre pensato che sarebbe morto prima lui di padre
Natale e di madre Chiara, ma ecco che le cose erano andate altrimenti. Cosa
doveva dedurne, soprattutto dalla morte di padre Natale, circa la continuità
del Querceto? Il futuro del Querceto era nelle mani di Dio. Quando qualcuno
gli domandò della morte di padre Natale e di fratel Lino, alludendo
all’iniziativa del Querceto, egli tacque, incrociò le mani sul petto e
guardò il cielo.
In una lettera del 20 maggio a sorella Anna aveva scritto che: «Padre
Natale voleva che il Querceto continuasse la sua missione». Egli,
l’assistente della piccola comunità, responsabilizzava sorella Anna a
mantenere aperto il Querceto dicendole: «Io sono qui ad aiutarti ai piedi
del Crocifisso».
Nell’omelia del 22 maggio 1998 per il 60° di Messa, presentò tutto
l’itinerario che aveva condotto alla formazione del Querceto e disse:
«Mio Dio, che mistero profondo, la tua Divina Provvidenza!... Nella
Pasqua di Risurrezione in pochi giorni e repentinamente, hai rapito in cielo
i miei tre. I miei dilettissimi tre della Povertà integrale per la carità
universale secondo S. Francesco!... Avevamo fatto insieme solennemente
questa santa nostra professione: Totale e incessante dedizione per ogni
fratello che fu, è, sarà...! Tutto per ognuno e ognuno per tutti!... Vivere
il precetto del Signore divorati dall’amore di Dio e del prossimo... Amando
tutti e ognuno con il Cuore di Gesù!».
In una lettera scritta poco dopo a un sacerdote parlava dell’ideale
che aveva abbracciato: «Un ideale così sublime pare non se ne possa
fare a meno, e pare impossibile lasciarlo; pare che debba andare avanti da
sé... E sarà veramente così finché verrà riascoltato il nostro grande padre
Natale, finché sarà contemplato e rivissuto. Egli ora fatto onnipotente in
cielo presso il Padre interceda, se piace a lui, perché questa meravigliosa
realtà del Querceto continui».
Quelle tre morti consecutive furono, al di là delle prospettive di
continuità del Querceto, uno spogliamento affettivo immenso per padre
Guglielmo. La terra gli sembrò per un attimo come svuotata di tre presenze
essenziali. Un momento di solitudine che lo portò ad aderire ancor più al
Crocifisso, ai suoi confratelli, che il momento e l’amore gli valorizzò come
non mai. Ma non c’era tempo per sostare in ripiegamenti, la gente lo voleva
sorridente, pronto, agile nel cogliere i problemi, sicuro nelle risposte.
Nel cuore degli eventi
in unione con tutti
Padre Guglielmo, da sempre, mentre svolgeva
il suo servizio sacerdotale, aveva oltre che l’attenzione per le persone,
che erano nel raggio della sua azione, il cuore aperto all’amore universale,
cioè ai bisogni della Chiesa e del mondo intero. Aveva il senso del
«fronte del bene» della Chiesa intera e in questo era cresciuto nel
tempo. Lui era un milite di questo fronte. Tutto questo lo si rileva da come
seguiva tutti viaggi del Papa. In un foglio ritrovato nella sua stanza
c’erano scritti tutti i viaggi di Giovanni Paolo Il. Pregava per l’esito di
queste missioni apostoliche e chiedeva alle persone più vicine di fare
«la scorta» al Papa.
In questa apertura, gli avvenimenti lo toccavano profonda mente, rilevando
in essi, di volta in volta, la grazia del Signore o la cecità degli uomini.
Così, ad esempio, in una lettera dell’8 luglio 1983 indirizzata ad un
terziario di Cesena, un po’ sgomento dopo il referendum che aveva introdotto
l’aborto, scriveva:
«Se penso al comportamento dei santi so che in ogni avvenimento
negativo.., loro acuivano lo spirito di conversione.., attribuendo
specialmente a sé quella disgrazia... Se noi due e tanti e tutti i credenti
e praticanti come noi... fossimo stati, diventassimo veramente bravi in
tutto... la cosa non capitava... Tutto si risolverebbe bene, benissimo!...
Quanto alla gran vittoria, o gran sconfitta... non c’è proprio motivo di
soddisfazione per nessuno... Quando vince il male, Satana... è un gran danno
anche per i suoi seguaci, perché Satana è il peggiore dei padroni... La
vittoria di Satana nei due referendum del divorzio e dell’aborto... ogni
giorno si capisce sempre meglio quale terribile sconfitta è stata per
tutti... e molti che l’hanno provocata stanno già pagando terribilmente
sulla propria pelle... Ma la “fatalità” della vittoria di Satana... sarà
ogni giorno più evidente... Ma di fronte a questi superficiali imbottiti di
materialismo, di ateismo e di egoismo... taci, prega, soffri, offri, ama,
testimonia.., pensa alla sconfitta di Gesù in croce... non smentiamo e
imitiamo la Madonna, 5. Giovanni, la Maddalena...».
Così nel 1991 durante la guerra del Golfo stette davanti al
tabernacolo in lunghe ore di preghiera per la pace, avendo nella mente le
parole accorate del Papa: «No... a questa guerra!... No!». In quei
giorni gli capitò di incontrare durante le benedizioni un influente
personaggio iracheno cattolico. Certo pensò che la sua parola aveva tutte le
probabilità di finire nel vuoto, ma ugualmente la disse, poiché la
«carità tutto spera». Chiese che si facesse pressione su Saddam Hussein
affinché desistesse dall’invasione del Kuwait.
Per la guerra in Bosnia, cominciata nel 1992 e conclusasi con l’intervento
della NATO alla fine del 1995, fece pregare e inviare aiuti alla
popolazione. Ugualmente fece per il Kosovo, le cui drammatiche vicende,
cominciate nell’estate del 1998, si conclusero nei primi mesi del 1999.
Quando poi gli islamici progettarono di costruire una moschea vicino alla
basilica dell’Annunciazione a Nazaret, non rinunciò a far pervenire una
parola ad un cardinale affinché ci si opponesse a una tale cosa.
Padre Guglielmo vedeva accadere nell’oggi le parole del vangelo di Matteo
cap. 24,12-14: «Per il dilagare dell’iniquità l’a more di molti si
raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato. Frattanto
questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia
resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine». L’accento
non lo poneva nel momento negativo, ma in quello positivo della divulgazione
del vangelo in tutta la terra, cioè la civiltà dell’amore, il miracolo di
una terra riconciliata con Dio e con se stessa.
La sua dedizione per ogni fratello che fu, cioè per i beati del cielo e le
anime del purgatorio, per ogni fratello che è e che sarà era cresciuta
sempre più in lui. E l’amore per i futuri si traduceva in un impegno orante
per un mondo migliore da consegnare loro.
Il pensiero della dedizione ai futuri padre Guglielmo l’aveva attinto dal
«Piccolo testamento» di S. Francesco: «Benedico tutti i miei frati
che sono nell’Ordine e che vi entreranno fino alla fine del mondo».
Padre Gugliemo non solo pregava per un mondo migliore da dare loro, ma amava
loro già presenti già «in mente Dei». Nella preghiera di
consacrazione scritta per la piccola comunità di Lagrimone, si poneva in
comunione, nell’umiltà della sua realtà, con quelli che «sono e che
saranno», ma in una lettera del 15 febbraio del 1999, scritta alla
signora di Rimini, includeva anche «quelli che furono». La
giaculatoria-consacrazione la scrisse di mattina, prestissimo. Tutto il
paesaggio era candido per la neve che padre Guglielmo vedeva, come dice
nella lettera, «il simbolo più bello di Maria Immacolata». «Ecco
la corona dell’Immacolata che vorrei recitare ogni giorno con te. Dire 5
volte 10 giaculatorie: “O Maria concepita senza peccato pregate per noi che
ricorriamo a voi”, intercalate dal “Gloria” e dalla giaculatoria: “Sotto la
tua protezione ci rifugiamo S. Madre di Dio e ci consacriamo, tutti quanti
furono, siamo, saranno, fino alla fine della consumazione dei secoli, poveri
peccatori al tuo Cuore Immacolato”».
La giaculatoria-consacrazione presenta una realtà teologica complessa,
una pluralità di prospettive unite dall’amore universale.
Innanzitutto quelli che sono in cielo hanno una «consacrazione» a Maria del
tutto priva di quel valore ascetico di svuota mento di se stessi che
presenta l’insegnamento monfortano.
Consacrarsi, per i beati, va inteso come un eterno darsi a Maria nella
gloria, dal momento che la relazione con la maternità uni versale di Maria
non è sospesa in cielo.
Per le anime purganti si ha un incessante darsi a Maria nel desiderio di
Dio; ciò non aumenta il loro merito, ma è costitutivo del loro percorso di
purificazione, attuato per mezzo del l’incendio di carità comunicato da Dio.
Il tempo della purificazione, fatto necessario e proporzionato alle impurità
presenti nell’anima, viene abbreviato dai suffragi della Chiesa
pellegrinante e dalle preghiere di Maria e dei beati in cielo.
Per i presenti sulla terra, «quanti siamo», ha il valore di un amore
verso tutti, di una consacrazione a Maria di tutto il mondo.
Per i futuri la consacrazione è amarli, consegnarli già a Maria:
la preghiera in Cristo, con Cristo, per Cristo, può già riguardare i futuri
(cfr. Gv 17,20-2 1).
Il «rifugiarsi sotto la sua protezione» riguarda quelli che sono
sulla terra e si estende pure ai futuri.
La giaculatoria-consacrazione testimonia,
dunque, l’amore verso tutti e con tutti vissuto da padre Guglielmo, con
Maria, nella luce di Maria, nella forza della intercessione di Maria, per
sempre maggiormente viverlo con Cristo, per Cristo, in Cristo, nella Chiesa;
per farlo crescere, porlo a germogliare, nell’unione orante con tutti i
battezzati e i giusti di altre religioni, nel cuore di tutti. |